Sommelier che decantano il Tavernello: le possibili ragioni psicologiche
Gli "influencer del vino", i sommelier, ultimamente stanno prendendo cantonate da tutti i lati. Sono forse dei fanfaroni, appunto influencer, oppure sono vittime di meccanismi psicologici conosciuti e sconosciuti? La domanda è seria visto che un professore di Oxford ha condotto uno studio a riguardo.
Quello che è saltato agli onori di cronaca è stato il caso di una sommelier dello AIS, Associazione Italiana Sommelier, che ha afferrato una bottiglia di Tavernello e lo ha presentato come uno Syrah Cabernet decantandone le qualità:
"Ottimo da bere, giovane! Da bere tutto pasto, si sente la speziatura caratteristica del syrah. La nota fruttata, lampone... ciliegia... notevole la qualità, cioè il lavoro di oltre cinquanta enologi. Medaglia d'oro al Berliner Wine Trophy"
Il tutto tenendo in mano una diavolo di bottiglia di Tavernello, che ha stappato e assaggiato!
Cioè uno poteva pure dire "ok in quella manifestazione (FAI o qualcosa del genere) il Tavernello non c'è mai stato, non ha guardato bene l'etichetta e pensava di avere un'altra bottiglia in mano. E' stata distrazione..." e invece no, l'ha aperta e assaggiata!
E qui spunta un secondo caso:
Alessandro Morichetti, fondatore di "Intravino" ed enotecario come dice lui stesso, si reca alla "ViniVeri" a Cerea. Un suo conoscente, produttore di barolo, gli rifila del Tavernello senza fargli vedere la bottiglia e senza dire nulla, assaggia:
"Buon profumino, diretto e nitido, molto scorrevole, sorso leggero, finale sottilmente tannico. Si beve bene, lo comprerei. Potrebbe essere un Bourgogne base."
L'uomo sorride e gli svela l'arcano. L'enotecario dissimula la vergogna, però si fa versare un bel po' di Tavernello nel bicchiere e inizia a girare per la fiera facendolo assaggiare ad altri intenditori.
Tutti lo trovano molto buono, con qualche mancanza ma tutto sommato gli danno un punteggio altissimo. Poi lo fa assaggiare ai produttori, ma quelli ci lavorano non si faranno frega... ci cascano pure loro!
A quel punto l'enologo inizia a dubitare che nel bicchiere abbia del Tavernello... ma invece no, era proprio quel vino.
Tutti dei fanfaroni?
Forse no... l'enologo è stato gabbato dal fatto che il vino glielo ha porto un produttore di barolo che conosce, gli altri sono stati gabbati dall'enologo stesso.
Interessanti i commenti all'articolo da parte di altri che hanno studiato nel settore: prima il Tavernello nelle scuole di Sommelier lo riconoscevano subito come scadente, da qualche anno lo decantano. Solo qualche neofita si azzarda a dire che fa schifo.
Quindi potrebbe trattarsi di una "deformazione professionale"? Oppure è effetto alone?
Ma può l'effetto alone spiegare il perché si percepisce diversamente un sapore?
Ecco, qui arriviamo allo studio di quel professore di Oxford Charles Spence:
Da anni studia la "percezione multisensoriale", insomma ha studiato su come il gusto sia collegato a vista, olfatto, udito e tatto.
Così ha condotto una serie di esperimenti con 40 esperti sommelier (raccogliendo tutto e altro nel suo libro Gastrophysics):
Primo test: hanno fatto assaggiare due diversi vini ai 40, il primo dopo avergli fatto sentire un bel pop di un tappo di sughero, il secondo dopo aver fatto sentire un tappo a vite, quello dei brick per intenderci.
Il primo vino è stato valutato migliore del secondo, addirittura citando tutta una serie di motivazioni.
Ma entrambi i bicchieri erano dello stesso vino.
Secondo test: gli hanno fatto assaggiare vino bianco colorato artificialmente di rosso. Nessuno si è accorto che fosse in realtà un vino bianco e anzi hanno trovato pure caratteristiche distinte del vino rosso.
Terzo test: Champagne servito in calici neri. Nessuno ha saputo riconoscere i vitigni.
Quarto test: Due diversi bicchieri, uno bevuto guardando la foto di un bambino felice, l'altro mentre guardavano la foto di un bambino triste. Il primo vino, quello associato inconsciamente al bambino felice, è stato decantato come più dolce fra i due. Erano il medesimo vino.
Nel libro ce ne sono molti altri, ma dimostra che i sommelier effettivamente si fanno influenzare così tanto dalla bottiglia, dal contesto, da chi è presente da cambiare completamente la percezione sulla qualità del vino che stanno assaggiando
Oppure la maggior parte sono dei fanfaroni... perché non tutti si fanno fregare in quel modo.
Secondo me alcuni imparano a memoria cosa dire in base alla bottiglia che hanno di fronte, la sommelier dello IAS ha fatto proprio così: ha ripetuto la tiritera convinta che il vino fosse quello.
Influencer del vino? Molti decisamente si!
Non puoi fare anni di studi per riconoscere i vini e farti fuorviare da una bottiglia o da un contesto.
Oppure sono quegli studi stessi che in qualche modo riducono le effettive capacità critiche della persona.
"Sto vino fa schifo!"
"Ma che mazzo dici coniglione, ma non vedi che è *roba costosa random*?"
Un po' come i test sul conformismo di Asch... se tutti dicono una cosa sbagliata la maggior parte dirà quella cosa sbagliata per non andare incontro al giudizio negativo del gruppo.
Il problema forse sono le scuole di sommelier stesso?
Articolo di Morichetti
Quello che è saltato agli onori di cronaca è stato il caso di una sommelier dello AIS, Associazione Italiana Sommelier, che ha afferrato una bottiglia di Tavernello e lo ha presentato come uno Syrah Cabernet decantandone le qualità:
"Ottimo da bere, giovane! Da bere tutto pasto, si sente la speziatura caratteristica del syrah. La nota fruttata, lampone... ciliegia... notevole la qualità, cioè il lavoro di oltre cinquanta enologi. Medaglia d'oro al Berliner Wine Trophy"
Il tutto tenendo in mano una diavolo di bottiglia di Tavernello, che ha stappato e assaggiato!
Cioè uno poteva pure dire "ok in quella manifestazione (FAI o qualcosa del genere) il Tavernello non c'è mai stato, non ha guardato bene l'etichetta e pensava di avere un'altra bottiglia in mano. E' stata distrazione..." e invece no, l'ha aperta e assaggiata!
E qui spunta un secondo caso:
Alessandro Morichetti, fondatore di "Intravino" ed enotecario come dice lui stesso, si reca alla "ViniVeri" a Cerea. Un suo conoscente, produttore di barolo, gli rifila del Tavernello senza fargli vedere la bottiglia e senza dire nulla, assaggia:
"Buon profumino, diretto e nitido, molto scorrevole, sorso leggero, finale sottilmente tannico. Si beve bene, lo comprerei. Potrebbe essere un Bourgogne base."
L'uomo sorride e gli svela l'arcano. L'enotecario dissimula la vergogna, però si fa versare un bel po' di Tavernello nel bicchiere e inizia a girare per la fiera facendolo assaggiare ad altri intenditori.
Tutti lo trovano molto buono, con qualche mancanza ma tutto sommato gli danno un punteggio altissimo. Poi lo fa assaggiare ai produttori, ma quelli ci lavorano non si faranno frega... ci cascano pure loro!
A quel punto l'enologo inizia a dubitare che nel bicchiere abbia del Tavernello... ma invece no, era proprio quel vino.
Tutti dei fanfaroni?
Forse no... l'enologo è stato gabbato dal fatto che il vino glielo ha porto un produttore di barolo che conosce, gli altri sono stati gabbati dall'enologo stesso.
Interessanti i commenti all'articolo da parte di altri che hanno studiato nel settore: prima il Tavernello nelle scuole di Sommelier lo riconoscevano subito come scadente, da qualche anno lo decantano. Solo qualche neofita si azzarda a dire che fa schifo.
Quindi potrebbe trattarsi di una "deformazione professionale"? Oppure è effetto alone?
Ma può l'effetto alone spiegare il perché si percepisce diversamente un sapore?
Ecco, qui arriviamo allo studio di quel professore di Oxford Charles Spence:
Da anni studia la "percezione multisensoriale", insomma ha studiato su come il gusto sia collegato a vista, olfatto, udito e tatto.
Così ha condotto una serie di esperimenti con 40 esperti sommelier (raccogliendo tutto e altro nel suo libro Gastrophysics):
Primo test: hanno fatto assaggiare due diversi vini ai 40, il primo dopo avergli fatto sentire un bel pop di un tappo di sughero, il secondo dopo aver fatto sentire un tappo a vite, quello dei brick per intenderci.
Il primo vino è stato valutato migliore del secondo, addirittura citando tutta una serie di motivazioni.
Ma entrambi i bicchieri erano dello stesso vino.
Secondo test: gli hanno fatto assaggiare vino bianco colorato artificialmente di rosso. Nessuno si è accorto che fosse in realtà un vino bianco e anzi hanno trovato pure caratteristiche distinte del vino rosso.
Terzo test: Champagne servito in calici neri. Nessuno ha saputo riconoscere i vitigni.
Quarto test: Due diversi bicchieri, uno bevuto guardando la foto di un bambino felice, l'altro mentre guardavano la foto di un bambino triste. Il primo vino, quello associato inconsciamente al bambino felice, è stato decantato come più dolce fra i due. Erano il medesimo vino.
Nel libro ce ne sono molti altri, ma dimostra che i sommelier effettivamente si fanno influenzare così tanto dalla bottiglia, dal contesto, da chi è presente da cambiare completamente la percezione sulla qualità del vino che stanno assaggiando
Oppure la maggior parte sono dei fanfaroni... perché non tutti si fanno fregare in quel modo.
Secondo me alcuni imparano a memoria cosa dire in base alla bottiglia che hanno di fronte, la sommelier dello IAS ha fatto proprio così: ha ripetuto la tiritera convinta che il vino fosse quello.
Influencer del vino? Molti decisamente si!
Non puoi fare anni di studi per riconoscere i vini e farti fuorviare da una bottiglia o da un contesto.
Oppure sono quegli studi stessi che in qualche modo riducono le effettive capacità critiche della persona.
"Sto vino fa schifo!"
"Ma che mazzo dici coniglione, ma non vedi che è *roba costosa random*?"
Un po' come i test sul conformismo di Asch... se tutti dicono una cosa sbagliata la maggior parte dirà quella cosa sbagliata per non andare incontro al giudizio negativo del gruppo.
Il problema forse sono le scuole di sommelier stesso?
Articolo di Morichetti